“…Nella mia cella, ad esempio, siamo in sei persone, non abbiamo armadietti per riporre le nostre cose e c’è una sola turca, situata proprio accanto al tavolo dove cuciniamo. Non riceviamo adeguata assistenza sanitaria né cure mediche, non possiamo accedere con continuità a programmi educativi, non abbiamo assistenza psicologica permanente e la Polizia Penitenziaria non riesce a gestire tutte le problematiche relative alla sicurezza”.
Questo è un passo della lettera con cui un detenuto di Rebibbia annuncia lo sciopero della spesa dei detenuti italiani. Ne ha scritto Il Dubbio, qui il link all’articolo con il testo della lettera, passata da Nessuno tocchi Caino.
Nelle carceri in questo Paese si vivono condizioni disumane. Si fa strage di diritto, di diritti e di vite.
Sì, di vite. In cella si sono ammazzate già 33 persone quest’anno. Quasi 150 nei due anni precedenti. Molti erano ragazzi.
Tutto questo avviene nel nome mio e vostro.
Nel nome del popolo italiano. Una percentuale altissima di detenuti non ha ricevuto una condanna definitiva.
Una percentuale minore ma non trascurabile non ha ricevuto nemmeno una condanna.
Una percentuale consistente ha problemi psicologici gravi, o problemi di salute seri, o di dipendenze.
Un numero non trascurabile ha commesso reati non violenti, che si potrebbero punire in strutture diverse, di minima sicurezza. Se solo esistessero.
In carcere si vive in strutture sovraffollate, in diversi penitenziari d’inverno si gela per il freddo e d’estate si soffoca tra caldo e afrori. E si caca accanto al tavolo in cui si mangia. Pensateci cosa vuole dire vivere così. Che uomini si diventa, vivendo così. Ma il disegno di legge che permetterebbe una liberazione anticipata di qualche settimana o di qualche mese, però, non passa. Meno che mai si può parlare di un atto di clemenza, di amnistia e indulto. Dice il ministro che sarebbe una resa. E così si continua a fantasticare di “nuove carceri”. Sì, aspetta e spera. Intanto la gente si impicca. Uno ogni tre giorni o giù di lì.
Questa è la resa vera. La resa di uno Stato che ha voltato le spalle alla civiltà, alla Costituzione, all’umanità. E che ha accettato e accetta, ogni giorno, la barbarie. Anche nel vostro nome.