Contro quello che viene definito «vero e proprio improprio marketing delle indagini giudiziarie» si è mosso il parlamentare dem e costituzionalista Stefano Ceccanti, presentando un’interrogazione ai ministri della Giustizia e degli Interni per chiedere di farla finita con la prassi «invalsa da parte di alcuni settori della magistratura inquirente e di alcune autorità di polizia giudiziaria di denominare operazioni e indagini da esse condotte con nomi in codice ad effetto, facendo uso di termini evidentemente scelti con cura al principale scopo di influenzare l’opinione pubblica e suscitare il consenso sociale intorno alle ipotesi accusatorie, spesso risultate poi nei processi meno solide del previsto».
Insomma, basta “mani pulite”, “mafia capitale”, “P4” e affini, roba che serve solo alla celebrazione sulla stampa dell’inchiesta e a orientare l’opinione pubblica.
«Questo modo di fare», riassume Ceccanti, «porta non a rispecchiare un contenuto tutto da vagliare, ma di fatto a suscitare in modo anomalo un consenso aprioristico dell’opinione pubblica: è una sorta di marketing delle indagini giudiziarie che, al di là dei singoli casi e delle singole motivazioni, collide sotto vari profili con le garanzie stabilite dall’articolo 111 della Costituzione. Per questo è importante che questa spettacolarizzazione cessi quanto prima».