Non mi piacciono i toni trionfalistici e ubiqui con cui si celebra l’anniversario della morte di Leonardo Sciascia, come se tutto fosse indistinto, come se la memoria fosse un balsamo perché addomesticabile.
Rammentiamo gli insulti feroci dopo l’articolo sui ‘professionisti dell’antimafia’ – che, a mio modo di vedere, ebbe il torto supremo di coinvolgere in un ragionamento lungimirante un galantuomo, innocente e onesto, come Paolo Borsellino – e l’isolamento successivo.
Rammentiamo, da sinistra specialmente, gli epiteti, i corsivi e le pietre scagliate contro il candore di un intellettuale che ebbe sempre il coraggio di dire come la pensava.
Rammentiamo le limpide posizioni di Sciascia – anch’esse avversate – sul caso Tortora, in nome della giustizia e del garantismo.
Tutto può essere criticato e criticabile, altra cosa è la lapidazione di cui un tale incommensurabile scrittore fu spesso fatto oggetto perché si ostinava a battere “sul picchiotto della verità”.
E chi rammenta davvero non dimentichi mai la protervia con cui si glorificano i morti dopo averli sfregiati da vivi.