Gli 84 suicidi di detenuti dell’anno scorso non sono bastati.
Anche quest’anno lo stillicidio è ripreso. E quest’estate, nella stagione in cui l’inferno del carcere diventa inferno al quadrato, i casi si sono moltiplicati.
Morti che non fanno quasi mai rumore e che passano di norma più o meno inosservate. La gente del carcere non vuole sentire parlare e non vuole sapere nulla. La tragica circostanza della morte di due donne detenute in 24 ore a Torino ha fatto eccezione, attirando un po’ l’attenzione dei media (qui la cronaca). E anche, più o meno, quella della politica, con la visita del ministro Carlo Nordio a Torino e le sue dichiarazioni. Come quelle di utilizzare caserme dismesse per i detenuti meno pericolosi.
Per qualche giorno, il dibattuto politico si è ricordato del carcere. Lo stimato professore Giovanni Fiandaca, in apertura su Il Dubbio, è tornato a definirlo “veleno” e non cura. Da leggere, assolutamente: qui il link. Fiandaca, oltre a essere uno dei più grandi studiosi italiani di diritto penale, è stato garante dei detenuti in Sicilia, parla per doppia cognizione di causa, in un dibattito in cui tanti aprono bocca senza conoscere la materia.
«Il populismo penale e il suo carcerocentrismo, come penalisti democratico- costituzionali, non ci siamo stancati negli ultimi anni e non ci stanchiamo di bollarli come una manifestazione di cultura giuridica primitiva e rozza, decisamente contraria alla Costituzione. Purtroppo tendenze iper- repressive sono emerse negli ultimi decenni più volte anche nel fronte politico cosiddetto progressista. Come giuristi dovremmo essere capaci di assumere un più efficace ruolo di intellettuali pubblici capaci di influenzare il dibattito in materia di giustizia e carcere».
Ma il carcerocentrismo e il populismo penale sono duri a morire. Le speranze dei garantisti veri legate a Nordio e alle sue uscite pubbliche prima che diventasse ministro si sono molto ridimensionate. La ricetta del “pene più severe” resta, come con tutti gli altri. Le riforme si attendono, chissà se da qui a fine legislatura dovremo chiamarle Godot.
Per chi volesse farsi una vaga idea di che cosa significa il carcere in estate, in posti non climatizzati, sovraffollati, dove ci si può fare la doccia solo alcuni giorni alla settimana, questo servizio di Carla Falzone per la Tgr Sicilia è utile. Come l’articolo di Giulia Torlone su Repubblic. Di cui riportiamo qui l’incipit.
Agosto è il mese più duro per i detenuti. Non solo perché il caldo è insopportabile per la poca aria che filtra dalle finestre o perché nella metà delle carceri italiane non c’è la doccia. L’estate è la stagione peggiore perché in cella si è più soli, il personale penitenziario in ferie e molte attività sono sospese. E in condizioni come queste gli episodi di autolesionismo e violenza inevitabilmente aumentano.