L’accordo elettorale tra il Partito democratico e la lista di Azione e +Europa è un buon affare per entrambi. Almeno nel breve periodo.
Calenda ha sì perso un po’ di credibilità e gettato sostanzialmente alle ortiche i due anni di discorsi da maestro della coerenza, facendo con questa scelta tutto il contrario di ciò che ha predicato fino a ora sul no alle coalizioni “contro”, no alle “accozzaglie” “perché sennò arrivano i fascisti”, del “mai con Di Maio e Fratoianni” e via discorrendo. E’ stata una giravolta ardita (che forse costerà qualche consenso, come sembrerebbe facendo un giretto sui social) ma ghiotta era l’occasione, quella di strappare al Pd un po’ di collegi blindati, che sommati ai posti che la lista otterrà nel proporzionale, porterà ai nuovi junior partner liberal del Pd un bel gruzzoletto di seggi in Parlamento, grazie all’alleanza coi partiti del fronte dell’astensione ai referendum sulla giustizia di giugno.
Sì, perché il prezzo che il Pd ha pagato pur di stringere l’accordo con Calenda e Bonino è abbastanza alto in termini di seggi e poltrone. E apparentemente potrebbe sembrare un prezzo sproporzionato, rispetto al cinque per cento o qualcosina di più che la bicicletta tra Azione e +Europa può verosimilmente portare in dote.
Sì, potrebbe sembrare un affare sfavorevole per il Pd, uno slancio ingiustificato di generosità. Ma solo a chi guarda il dito anziché la luna e di politica mastica poco.
Perché alta, altissima, era in realtà la posta in gioco per il Pd, cioè disinnescare il rischio della nascita di un soggetto riformista liberaldemocratico alternativo al Partito democratico e ai sovranisti.
La sfida alla destra c’entra fino a un certo punto. Perché anche con Calenda in pancia, la coalizione patchwork del ‘tutti contro Meloni’ perderà lo stesso, con ogni probabilità, almeno a guardare tutti i sondaggi.
La partita vera del Pd era questa. Quella di scongiurare uno scenario alla Macron, con la nascita di un concorrente riformista che alla lunga beneficiasse del conservatorismo de facto del Pd, baluardo di consenso di una serie di ambienti difensori dello status quo.
Era troppo importante riuscirci, isolando il reprobo e ingestibile Renzi. A qualsiasi costo. E Letta s’è aggiudicato il set.