Il 19 dicembre dell’anno scorso anticipai su Livesicilia (qui l’articolo) che la commissione Antimafia dell’Ars stava indagando sulle vicende controverse degli scioglimenti per mafia di comuni siciliani, i cui amministratori si erano messi di traverso ad affari legati ai rifiuti, erano finiti al centro di indagini penali per reati infamanti, accuse da cui erano poi stati prosciolti quando già lo scioglimento del Comune era stato disposto dal governo.
Mi parve da subito una delle parti più interessanti dell’indagine. E lo penso tutt’ora. Nella relazione finale dell’Antimafia si ne parla abbondantemente. (Qui la mia sintesi della relazione). Sono vicende che andrebbero approfondite. E l’Antimafia bene farebbe a sentire gli organi dello Stato coinvolti, magistrati e prefetti in primis, sarebbe interessante farsi spiegare da loro, piuttosto che da qualche giornalista, come maturano errori clamorosi come quelli. Intanto, qualcuno butta lì che la normativa andrebbe forse rivista. Forse.
Può far storcere il naso a qualcuno, ma i frutti avvelenati di tutto quel campionario di norme partorite negli ultimi decenni e poco imparentate con il principio di civiltà della presunzione d’innocenza, sono copiosi. Dalle procedure per gli scioglimenti dei Comuni, alle interdittive prefettizie, alle stesse norme che regolano i sequestri dei patrimoni della criminalità organizzata (vedi alla voce Palermo, aspettando le sentenze) fino alle decadenze previste dalla Severino per le condanne in primo grado per certi reati, il nostro ordinamento ha accettato negli anni che si potessero infliggere effetti devastanti sulla vita delle persone, o delle comunità, senza scomodarsi ad aspettare condanne definitive. Si tratta di norme nate per contrastare fenomeni criminali di sicura gravità ma certe vicende suggerirebbero a chi è dotato di un discreto bagaglio di saggezza e onestà intellettuale di avviare una serena riflessione su questi strumenti che, senza buttar via il bambino con l’acqua sporca, intervenga per evitare che misure nate per contrastare l’illegalità possano diventare strumenti clamorosi di ingiustizia.
Nella foto Palazzo dei Normanni, sede dell’Ars (foto Lasterketak)