“Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni”. Scriveva così Camilla Cederna su La Domenica del Corriere a proposito dell’arresto di Enzo Tortora. Individuando nell’arresto stesso la presunzione delle “buone ragioni” che al medesimo sottostavano. Quanta strada ha fatto l’Italia da quell’abominio? Da quel giugno del 1983, quanto abbiamo imparato a proposito di garanzie, diritti, libertà? Temiamo molto poco.
Anzi, è arduo negare che dopo la stagione delle monetine e della gogna di Tangentopoli nei primi anni ’90, il giustizialismo sia diventato pane quotidiano del dibattito politico e patrimonio diffuso del sentiment popolare. Di questo parlerà questo sito. Che cercherà di aggregare quanto di più interessante e stimolante viene pubblicato su questi temi, offrendo ai lettori anche dei contributi originali. Per difendere una cultura del diritto, della civiltà, del laico ragionamento contrapposto alla giacobina sete di vendetta, di processi sommari, di manette esibite, di acritica esaltazione di poteri dello Stato che rischiano senza i contrappesi dello Stato di diritto e della Costituzione di deragliare verso eccessi inquietanti e pericolosi. Farlo oggi che concetti come la presunzione di innocenza o la funzione rieducativa della pena vengono mal tollerati come inutili e sospetti orpelli diventa un dovere. Per riaffermare, tra l’altro, la sacralità della libertà personale, ricondurre l’opinione pubblica a una presa di coscienza su come le limitazioni della stessa debbano pretendere un uso coscienzioso, prudente, rispettoso degli strumenti della legge.
Di questo concetto che rischia di finire come una cianfrusaglia in soffitta vogliamo parlare. Nel suo articolo rubricato “Stato di diritto“, la Costituzione della Repubblica elvetica recita che “il diritto è fondamento e limite dell’attività dello Stato” e aggiunge che “l’attività dello Stato deve rispondere al pubblico interesse ed essere proporzionata allo scopo”. Ci sembrano concetti che vale la pena di riaffermare senza mai darli per scontati. A difesa di un’idea di civiltà a cui ci ostiniamo a non voler rinunciare. Soprattutto in una stagione in cui, citiamo un dossier dei Radicali italiani, “il potere avverte il diritto come un fastidioso intralcio al raggiungimento dei propri scopi, da violare, modificare e interpretare a proprio piacimento con assoluta spregiudicatezza”. Memori della lezione per cui nei tribunali i nodi vengono al pettine, quando c’è il pettine, per citare con devozione un faro come Leonardo Sciascia.